23/08/13

Mattina

La luce del giorno iniziava a entrare dentro alla finestra, posta di fronte al suo letto. Una luce fievole, una luce che riusciva a sgusciare tra le fessure degli scuri chiusi. C'era caldo e un odore pungente di legno appena tagliato, rumore abbastanza intenso di martelli che schiacciavano con insistenza i chiodi dentro al legno. Urli e chiacchiere ovattate dalle pareti della propria camera.
Elizabeth aveva gli occhi aperti ormai da qualche minuto, ma non riusciva a tenerli aperti, contornati da un lieve alone rosso di chi ha passato una lunga notte o di chi ha ancora bisogno di svegliarsi.
Strusciò il capo contro la guanciale caldo per via della temperatura così elevata del pianeta in quel periodo dell'anno, un lieve però tepore le arrivò al naso. Qualcosa che non aveva ancora individuato dentro alla stanza, un vassoio, non troppo grande appoggiato al comodino di fianco a lei.
Una tazza di caffè fumante con di fianco un paio di fette di pane e la marmellata di fragole già spalmata sopra. Nessun bigliettino, ma non le ci volle molto a collegare tutto a sua Zia. L'unica che conosceva la marmellata preferita e come voleva il caffè.
Si fece forza e staccò finalmente il proprio volto da uno dei guanciali, sentiva il volto come se fosse stato schiacciato da qualcosa, la mano destra scivolò sugli occhi che le facevano ancora male, dal poco sonno, ma doveva pur svegliarsi. I piedi andarono ad appoggiarsi sul pavimento, che tutto sommato era freddo a confronto la temperatura del proprio corpo. Il letto come al solito era un uragano di lenzuola mischiate al copri letto, con le altre sparite dall'angolo dove le aveva lasciate, in fondo c'era ancora del sangue sopra per via della notte precedente quando ci aveva dormito sopra i due gemelli.
Il corpo finalmente scese completamente dal letto, come se fosse tirata da fili invisibili la mano andò a scattare verso la tazza, dite affusolate si strinsero intorno ad essa, portandola alle proprie labbra, intanto che strisciava verso la finestra, andò ad aprire la finestra con la mano libera e così il sole potè inondare la stanza di luce oltre alla propria figura.
Strinse gli occhi, per via dell'impatto della luce, ma lì riparì dopo poco, ci volle qualche istante prima di abituarsi a tutto quello che stava succedendo. Le labbra si staccarono dalla tazza e gli occhi si appoggiarono alle persone che vi erano di sotto, soltanto qualche metro e forse non ci avrebbe mai creduto di veder così tante persone intorno a quell'edificio.
C'era il vecchio Lucius, con i capelli bianchi, il volto sbarbato come se avesse fatto la barba la mattina stessa, ma le aveva confessato che non ne aveva molti di peli sul volto, perciò non riusciva a far crescere la barba sul volto, che come al solito era appoggiato su un pezzo di legno e osservava suo figlio Mike alle prese con un pezzo di legno e dei chiodi.
Dall'altra parte sotto vi era Alexandra, una ragazza con cui aveva diviso più di una volta il pranzo durante la scuola, una delle poche che le rivolgeva la parole a quei tempi, che con somma vanità faceva vedere il nuovo acquisto proveniente da Jasonvile, una sparachiodi luccicante, con Christopher e Jimmy di fianco a lei che le davano corda.
In quel momento capì di esser in qualche modo a casa.
Le mancavano le due parti del proprio cuore, due parti che non sarebbero mai ritornate come prima.
Il battibecco, le urla, la litigata che aveva avuto con John, settimane prima l'avevano segnata dentro in maniera abbastanza marcata. Sapere che aveva scelto male, sapere che dopo tutto non l'aveva mai amata, la faceva sentire ferita. Ferita nel cuore e nel proprio orgoglio e più ci pensava, più aveva voglia di prendere il primo mezzo per Bullfinch per pestare a sangue John. Dall'altro lato lo amava ancora.
Quello che aveva dato lei in quei giorni, in quel poco tempo che si erano concessi, era stata sincera.
Non si pentiva di aver scelto quei attimi, anche se la faccia di Philip, così arrabbiato e sofferente allo stesso tempo le straziava l'anima.
Però non si poteva soffermare su loro, non poteva correre ogni volta che aveva voglia di vederli.
Non poteva focalizzare la propria vita su quelle due persone che l'avevano segnata così, non poteva farlo.
Philip le aveva scritto di pensare, di aver il tempo per decidere cosa fare.
Lei la decisione l'aveva già presa tempo a dietro, non le serviva del tempo per riflettere, aveva il Saloon ora, aveva una società da metter in piedi, di certo non poteva star lì a pensare al proprio cuore, farsi veder debole.
Pensieri che la facevano scordare che ormai erano diversi minuti lì appoggiata alla finestra  a guardare fuori, immersa in quel verde e in quel profumo di casa.
"Beth!!"
Le mani tremarono e quasi fece cascare la tazza di sotto, ma all'ultimo la riuscì a trattenere con forza con le dita, girandos verso la porta e lì vede sua Zia.
Era scavata in volto, ma gli occhi erano di un azzurro come il suo, anche se aveva visto decisamente più stagioni passare, più sofferenze da sopportare.
La malattia che l'aveva dilagnata nei mesi successivi era sparita, non le aveva mai detto come, anche se lei immaginava che fosse stata colpa della presunta morte di Philip, che aveva optato per farsi trapiantare degli organi nuovi.
"Non sei stata tu a insegnarmi che si bussa alle porte, zia?"
Il tono era abbastanza alto, anche se non avrebbe voluto farlo uscire in quel modo, la voce era abbastanza roca, impastata, in fondo aveva preso soltanto una sorsata di caffeina.
"In verità è da mezz'ora che sto bussando e non mi stai rispondendo"
Piccata, con quell'accento di New London, che le fuggiva soltanto in presenza della nipote, in fondo con lei non doveva mentire sulla propria provenienza, anche se ormai Greenfield era diventata la sua casa, dov'era stata felice anche se per pochi anni e dove sarebbe stata seppellita, ma non era ancora il tempo per preparare la tomba.
"Oh"
Le labbra di Elizabeth si erano incurvate e rimasero lì per diversi istanti, per trasformarsi in quel sorriso beffardo e divertito, che ormai caratterizzava il suo volto, da mesi.
"Stavo riflettendo.."
"Su?"
Ed eccola.. impicciona come al solito, forse più che dalla madre aveva preso la curiosità da quella signora che era distinta, anche con indosso uno straccio, sarebbe stata distinta.
"Su diverse cose.."
Mugugnò presa forse in contropiede, andò ad appoggiare i gomiti lungo la finestra così da dare le spalle al tram-tram, ormai diventato quotidiano, all'esterno.
"Philip e John?"
Sbuffò, alzando lo sguardo verso il soffitto, se lei era brava a capire la gente,sua zia era un'indovina, per via che si sentiva ancora una pivella a confronto di lei, poteva leggere le persone come se fossero dei libri illustrati per bambini, per quanto complicate fossero.
"Snì!"
"Non ti ho insegnato quei vocaboli, ragazzina!"
Lo sguardo di Elizabeth che le dedicò era tutto tranne che amorevole.
"Non son una ragazzina!"
Ribeccò con una certa insistenza verso la donna.
"Allora parla come, Dio comanda! Più tempo passi, più il tuo gergo si potrebbe metter a confronto con quello di Zio J."
"Zio J, lo aveva decisamente colorito. Dovrei iniziare a parlare pure io, con tre bestemmie e una parola."

Ridacchiarono tutte e due per diversi istanti, guardandosi negli occhi, intanto che Zia Polly, iniziò a muoversi verso il letto, iniziando a tirare le lenzuola.
"Non solo loro."
"Ti penti di aver preso quella decisione, Beth?"
"No."

Orgogliosa. Lei non si pentiva mai di nulla, forse una cosa che l'aveva sempre portata in mezzo ai guai.
"Allora perchè continui a rimuginare, come se fossi una pecora che bruca dell'erba?"
"E questa dove l'hai tirata fuori Zia? Comunque dovrei andare avanti.. ecco tutto."

Dette quelle parole, si abbandonò sopra alla poltrona di fianco alla finestra.
"Vorrei.. semplicemente dimenticare il dolore che ho nel petto."
"Oh ragazza mia!"

Alzò le mani verso il soffitto, come se dovesse pregare, per poi ritornare alle lenzuola del letto per sistemarle.
"Non sei la prima e non sarai l'ultima a sostenere una cosa del genere! Tutte le donne con il cuore spezzato lo dicono, ma il dolore ti dice anche che hai amato e forse ami tuttora. Però in qualche modo devi andar avanti. Se vuoi rimanere con Philip, sai che hai la mia benedizioni, ma non puoi continuare ad aver un rapporto come se fosse un tiro alla fune."
Le dita affusolate anche se ruvide per via del lavoro nei campi, andarono a dare l'ultima piega al letto e si sedette sul lato che dava sulla poltrona e gli occhi erano lì appoggiati sulla figura di Elizabeth.
"Sai perfettamente che Philip ti ha fatto ri-scoprire il significato della parole Amore, ma ti ha ferito, sei cambiata, sei una donna e stai mettendo in piedi un'attività magnifica."
Elizabeth si sentì le guance avvampare, come se stessero per andar a fuoco.
"Non importa cosa hai fatto su Hall Point, ma ti ha fatto crescere, devi esser orgogliosa in qualche modo di tutto quello che hai sopportato"
La indicò come se fosse un ammonimento.
"Non devi mai negare, cosa sei stata, perchè ti ha fatto diventare quella che sei oggi. Ora non pensare all'amore, ma pensa agli affari, divertiti fin quando sei giovane e lascia la libertà anche agli altri di divertirsi, siete giovani!"
Iniziò ad alzarsi e ricomporre le pieghe della gonna, andando verso la porta, girandosi verso di lei.
"Saresti l'orgoglio dei tuoi genitori, nonostante tutto quello che hai passato."
Attraversò la porta e la richiuse dietro alle proprie spalle, lasciando Elizabeth con il volto rosso e gli occhi lucidi come se dovesse da un momento all'altro far scendere lacrime. Non voleva vedere la nipote, in quello stato e avrebbe dato la sua stessa vita per far ritornare indietro sia Serena che James. Nessuno poteva sopravvivere con un dolore e un fardello così forte sulle spalle.
Forse era per quel motivo che aveva accettato di farsi trapiantare gli organi, per non lasciarla da sola al mondo.
Nonostante tutto quello che aveva passato Elizabeth e quello che era diventata era pur sempre sua nipote, anche se non di sangue, l'aveva fatta nascere e aveva promesso ai suoi genitori di occuparsi di lei.
07/08/13

Ciondolo

Era sbarcata su Horyzon, diversi giorni prima, nello spazio porto di Capital City. Non aveva avuto problemi con l'idn falso, anche perchè era completamente diversa da quella ragazzina che aveva messo piede l'ultima volta lì.
I capelli mossi color nero pece le cadevano lungo le spalle, i vestiti erano quelli del Core, esattamente come vuole la moda, un vestito abbastanza corto, ma non volgare e non aderente lungo le gambe, così da nascondere i coltelli. Una giacca aperte che lasciava vedere il completo, ma nascondeva bene la fondina ascellare. Il trucco perfetto sul volto che metteva ancora più in risalto quegli occhi azzurri freddi.
Il passo abbastanza sicuro, ma allo stesso modo naturale, come le aveva insegnato Aileen, mesi a dietro. I tacchi che non le davano fastidio. Gli occhi scivolavano da una parte all'altra come per controllare che non ci fossero dei visi a lei familiari.
La mano si appoggiò alla porta di quel negozio. Uno come tanti altri che affacciava direttamente sulla piazza, appena la porta si aprì di diversi centimetri un campanello che faceva molto Border, iniziò a muoversi così da palesare la propria presenta in quel luogo.
L'oreficeria non era molto grande, a confronto delle altre che c'erano lì a Capital city, la merce che vendeva assomigliava a quella che si poteva trovare a Greenfield. L'aveva scelta per quello.
"Miss Everdeen!"
La voce squillante del commesso invase completamente l'ambiente. Era un ragazzo di almeno vent'anni, con i tratti tipici del Core e quegli occhiali rotondi che le ricordavano i propri, dal primo momento in cui aveva messo piede lì dentro, l'era stato simpatico. Le labbra si incresparono in un sorriso sul volto della giovane donna.
"Amy,andrà più che bene Mr Fargood"
"Non sia mai che un gentil uomo si faccia chiamare con il cognome! Mi chiamo Anthony!"
L'inglese con cui parlava Anthony, era sporco di quell'accento di Corona, che poteva tranquillamente riconoscere. In fondo c'era stata con Electra, solo al pensiero della donna le venne il senso di nausea, che mascherava con quel sorriso verso l'uomo.
"E' pronto.."
Ci voleva una piccola pausa e poi doveva anche accentuare quel sorriso, farlo forse più dolce, non ci mise molto a far quello che voleva ad ottener quel risultato sul proprio volto.
"Anthony?"
Aveva cullato bene il suo nome, come per farlo sentir amato dalla propria figura, aveva capito con le proprie esperienze passate che tutto doveva esser ottenuto con un sorriso e il tono dolce. Sapeva che le montagne si spostavano con un sorriso, non con l'uso della forza.
"Si, Amy"
Sentiva in quelle parole una certa forzatura, si stava impegnando di usare quel Amy e non quel Miss Everdeen.
La faceva sentire un pò come una madre che vedeva il figlio impacciato nel pronunciare una parola, per la prima volta.
"Ha avuto problemi?"
"No.. Miss.. cioè mi scusi, Amy"
"Spero che la somma.."

La interruppe.
"Non si preoccupi della somma Amy, ha coperto il tutto, vado a prendere l'oggetto."
Non le fece neppure risponde che spostò una di quelle tende e sparì in quello che doveva esser il retro bottega.
I piedi di Elizabeth iniziarono a muoversi, gli occhi a scivolare da una parte all'altra fino quando non riuscì a incontrare il proprio riflesso, i propri capelli rossi erano stato oscurati con quelli orribili neri. Il volto era serio, anche se quel sorriso le faceva perdere diciamo più in simpatia, sembrava una timida ragazza di campagna appena trasferita in città.
Le salì di nuovo quella sensazione di vomito, si odiava. Odiava quel riflesso, avrebbe rotto quella vetrina. Doveva ritornare rossa, non le importava molto, non resisteva neppure un secondo con quei capelli, le davano un altro colore alla pelle ancora più pallida. Non attiravano l'attenzione, era una come tante altre.
Si girò, appena sentì lo schiarirsi della voce dell'uomo, con in mano un piccolo vassoio e sopra vi era un ciondolo. Era magnifico.
Rimase lì a fissarlo per qualche istante.
"Spero di aver dato bene l'immagine, anche se il disegno era perfetto Amy, sicura che non le potrebbe.."
"No.. Anthotny, non sono una che disegna gioielli."

Si avvicinò al bancone e poi con le mani afferrò quel ciondolo, andandolo a guardare era come lei voleva.
Era a forma di orologio per indicare lo scorrere del tempo, non molto grande, con sopra un'ape, perchè lei pungeva. Andò a premere il pulsante in alto, dove in teoria doveva esserci la rotellina per ricaricarlo, si aprì. Come lei, dimostrava che ogni cosa non era come appariva. All'interno vi erano le due foto.
Le salirono le lacrime agli occhi, ma le cacciò indietro.
Erano lì i due uomini che le occupavano il cuore, in una foto c'era Philip e nell'altra John, che non si erano neppure accorti quando gli aveva rubato quell'immagine.
Gli occhi andavano a studiare il volto di quelle due persone che erano diventate fondamentali anche per respirare, erano il suo mondo, il suo Verse.
Erano tutto per lei. Lo richiuse con una certa delicatezza e andò a guardare il volto dell'uomo che era lì dietro al bancone.
"La ringrazio Anthony."
"Si figuri Amy, se le servono altri oggetti, basta che venga qui. E' la benvenuta."

Fece un inchino, lei si congedò andando a infilarsi fuori da quella porta.
Iniziò camminare tra la folla.
Gente. Gente che non conosceva che parlava in un inglese così sporco di accenti del Core che le faceva quasi ribrezzo. Così tutti uguali. Socchiuse gli occhi e poi lì riaprì, andando a infilare quel pendaglio personale, con le immagini di due uomini che l'avevano modellata e amata, tanto da far esser quella che è oggi.
John l'aveva lasciata, aveva chiuso completamente quel rapporto che c'era. Anche se erano attimi, anche se erano momenti. Per lei era più del semplice sesso. Amava quell'uomo e desiderava ardentemente rimanere al suo fianco, perchè ne aveva bisogno.
Philip era il cavaliere, quello che correva sempre in suo aiuto, anche quando lei non urlava, che l'amava così tanto da ripugnare suo fratello. Era sparito e lei aveva camminato senza di lui, aveva corso, ma non l'aveva mai dimenticato. Lui era stata la prima volta. Era la prima volta che amava qualcuno, il suo primo bacio e il suo primo compagno di letto.
L'amore che provava per tutti e due era mescolato e nessuno poteva mettersi all'altezza dell'altro. Aveva un cuore diviso in due e amava tutti e due in egual maniera.
Nessuno dei due però l'era accanto, forse era quella la condanna per chi amava.. per chi non poteva scegliere, per chi non poteva decidere se dimenticare uno o l'altro.
Eva aveva afferrato la mela e l'aveva mangiata ed era stata cacciata dal paradiso, condannandosi al dolore.
Lei amava due persone ed era condannata a non averne nessuna delle due, quella era la sua pena, quella era il proprio inferno.



 Come un oroglio che segna il tempo che passa
Come un'ape. Veloce, piccola e mortale
Non è quello che sembra, contiene il mio cuore.


 
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